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Una storia

Una signora in mezzo alla strada con la mano fa segno di fermarsi.

Da dietro una curva si alza, nel turbinare del vento che cresce, l’elicottero dei pompieri, una ambulanza si allontana lentamente.

Sicuro che e’ un motociclista – penso.

Sulla strada nessun segno di incidente, niente vetri, niente segni col gessetto.

Bah, meglio cosi. Riparto.

La strada scende, scende veloce ed e’ bello lasciare correre la bici.

L’aria e’ fresca, il cielo azzurro.

Seguo a distanza l’ambulanza che torna tranquillamente verso valle.

Poi alcune auto sul ciglio della strada, come se ne vedono ogni tanto nei pressi dei belvedere.

Alcuni motociclisti accanto alle loro moto con i caschi in mano che guardano.

Una strana aria composta e silenziosa.

Tutti guardano: un camper, uno scooter, il lenzuolo bianco sull’asfalto.

Mi vergogno e mi pento di avere superato distrattamente quella che ora riconosco essere una fila e non semplicemente auto parcheggiate.

Sono li a pochi metri da quel lenzuolo.

Non guardo, per pudore, per rispetto, per paura.

Il carabiniere sta telefonando, mi fulmina con lo sguardo.

Mi allontano e faccio segno ai miei amici di fermarsi: per ora non si passa, incidente.

Penso agli effetti che la telefonata del carabiniere o di qualcuno per suo conto scatenerà a chilometri di distanza.

Sento la tragedia, il dramma che entra nella famiglia. In pochi attimi, senza che si possa tornare indietro. Inesorabile.

Ora ci fanno passare. Senza pudore a meno di 2 metri da quel lenzuolo.

Non mi interessa capire, il perchè, il come.

Tutto scorre: il traffico, la bici, non i pensieri che restano inchiodati a quel lenzuolo bianco.

Poi il mare ed i pensieri scompaiono. Il giorno dopo su Repubblica alla pagina di Genova tutto e’ sintetizzato in 2 righe, già non ci pensavo più !

Lei aveva 22 anni, lui ricoverato molto grave al S. Martino di Genova ne ha ventiquattro, erano di Piacenza, andavano al mare, come me!

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